Si susseguono da molti mesi dichiarazioni ambigue da parte del Presidente della Bielorussia Lukashenko su un possibile coinvolgimento del suo Paese nel conflitto russo-ucraino. Ma quante possibilità ci sono realmente di un intervento bielorusso? E quanto sarebbe determinante?
Fin dai primi giorni dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, si è tornati spesso a parlare di un possibile coinvolgimento diretto delle truppe bielorusse nel conflitto. Per capire quanto sia reale questa minaccia cerchiamo di analizzare il problema da un punto di vista politico, economico e militare.
Brevissima storia del regime bielorusso
La Bielorussia è stata parte dell’Unione Sovietica – tranne per una parentesi di occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale – dal 1922 fino al 1991, anno nel quale ha ottenuto formalmente la propria indipendenza. Dal 1994 ad oggi è stata governata ininterrottamente da Lukashenko, un ex funzionario sovietico che ha progressivamente instaurato un regime in parte ricalcato sulla precedente esperienza comunista. Accusato fin dai primi anni di governo da diversi osservatori internazionali di non consentire uno svolgimento democratico e trasparente delle elezioni nel Paese, ad agosto del 2020, a seguito di elezioni presidenziali svoltesi in un clima definito anti-democratico e repressivo da molte istituzioni occidentali e dall’opposizione interna, Lukashenko si è trovato di fronte a imponenti disordini e manifestazioni di piazza. In quella circostanza, l’appoggio della Russia di Putin si è rivelato prezioso per la tenuta del regime e ha permesso di ristabilire l’ordine nel Paese. Questo supporto è costato al regime un aumento della dipendenza politica ed economica da Mosca, ulteriormente accresciuta anche dalle sanzioni occidentali. Per avere un’indicazione sul livello di dipendenza del Paese dalla Russia, basti considerare che nel 2020 essa è stata destinataria del 45,6% dell’export bielorusso.
L’integrazione tra i due Paesi si è concretizzata nel corso degli anni, dal 1996 in poi, prima nella Comunità Russia-Bielorussia e poi nello Stato dell’Unione, organi sovranazionali creati con l’obiettivo di aumentarne la cooperazione politica, economica e militare.
Chi decide il destino dei bielorussi?
In verità, i livelli di dipendenza energetica, economica e politica del Paese dalla Russia fanno sì che esso non si possa considerare un attore indipendente, soprattutto sul piano della politica estera. Questo si ripercuote inevitabilmente sul ruolo che possiamo attribuirgli nel conflitto in corso: la decisione di portare la Bielorussia sul campo di battaglia, qualora dovesse arrivare, non sarebbe presa veramente a Minsk ma a Mosca. Né Lukashenko né il suo Paese sarebbero in grado di resistere a lungo alle pressioni di Putin e, dunque, il fatto che il Paese si limiti a fornire un appoggio esterno va interpretato come un segnale che la Russia reputa questo lo scenario più conveniente, allo stato attuale delle cose.
E tale rimarrebbe anche qualora dovesse decidere di trascinare la Bielorussia in guerra: se a prima vista questo potrebbe apparire come un modo per dividere con l’alleato rischi e costi del conflitto, una simile decisione starebbe in realtà a significare che la Russia sarebbe disposta – o costretta – a rischiare politicamente di più di quanto non stia facendo adesso per perseguire i suoi obiettivi militari.
Ma rischiare cosa, esattamente? Andiamo a spiegare il perché sia fuorviante considerare quello bielorusso come una sorta di “esercito bonus” e quali sono i possibili costi e benefici per Mosca.
Le capacità militari della Bielorussia
Sulla carta, la Bielorussia possiede delle forze armate di discrete dimensioni, se si progetta di usarle per aprire un fronte aggiuntivo: circa 45.000 militari in servizio attivo i quali, uniti alle riserve e ai gruppi paramilitari, possono portare il totale delle truppe disponibili a sfiorare il mezzo milione. In aggiunta, il Paese possiede un elevato, o sarebbe meglio dire spropositato, numero di mezzi pesanti e pezzi d’artiglieria di epoca sovietica (circa 600 carri armati, un numero superiore a quello di Germania, Francia e Italia, per intenderci).
È tuttavia importante, quando si cercano di stimare le capacità militari di un Paese, come è avvenuto spesso dall’inizio del 2022, tenere presente che gli eserciti moderni mantengono pronto al combattimento in genere solo un ristretto numero di truppe, per semplici ragioni di opportunità e di costo. In caso di necessità, molti stati si riservano la possibilità di introdurre il servizio militare obbligatorio ma questo non significa che da un giorno per l’altro le loro armate si moltiplichino: le operazioni offensive, in particolare, richiedono una netta superiorità numerica e un addestramento abbastanza lungo e complesso, sia a livello di individuo che di unità militare nel suo insieme, volto a creare la capacità di azioni coordinate e precise, oltre che una coesione interna sia umana che professionale. Utilizzare truppe poco addestrate e/o male equipaggiate rischia di generare costi politici e umani elevati senza offrire alcun successo militare rilevante.
Per queste ragioni, solo una piccola frazione delle truppe – si stima non superiore alle 15.000 unità – e dell’hardware militare elencati sopra risulta immediatamente schierabile in combattimento, anche se questa non è l’unica limitazione che subirebbero in guerra le armate bielorusse.
Il regime di Lukashenko, infatti, necessita per la sua stabilità di mantenere a disposizione una parte di queste truppe, oltre alle forze di polizia e, soprattutto, ha bisogno di mantenere un buon consenso tra la popolazione e nelle elìte se non vuole esporsi al rischio di nuove proteste e disordini. La bassa popolarità di cui gode questa guerra in Bielorussia rischia di minare questo consenso e di generare truppe con un morale molto basso, con il conseguente rischio di defezioni.
Infine, il suo esercito manca di esperienza di combattimento e avrebbe quasi sicuramente grossi problemi con la logistica, se pensiamo che questa è stata una delle sfide più impegnative e peggio gestite dai russi, nonostante manovrino quello che è stimato essere il secondo esercito più forte al mondo.
I vantaggi di un appoggio esterno
Ci sono, poi, diverse ragioni per cui la Bielorussia porebbe servire la causa russa meglio da fuori che da dentro il conflitto.
Innanzitutto, la sua posizione geografica strategica permette ai russi di dislocare missili in grado di colpire con relativa facilità il territorio ucraino in profondità, anche molto distante dal fronte e dal confine russo. Il Paese funge, dunque, da base missilistica e aerea ma non solo: esso fornisce basi e personale per l’addestramento delle truppe russe, il che fa molto comodo a Mosca dal momento che la mobilitazione proclamata a settembre è molto impegnativa per le sue forze armate, richiedendo l’addestramento e l’equipaggiamento di un numero di reclute molto superiore al normale, in tempi ristretti e con buona parte del suo personale più esperto impegnato nel conflitto.
Un altro aspetto importante riguarda la sostenibilità dello sforzo bellico russo. La Bielorussia, come accennato prima e in linea con quanto accaduto agli altri membri del Patto di Varsavia al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha ereditato un vasto arsenale di armi convenzionali (con il termine “convenzionale” ci si riferisce a tutte quelle armi che non sono nucleari, chimiche o batteriologiche). Una quantità relativamente ristretta di queste armi viene utilizzata per le esigenze delle odierne forze armate bielorusse, mentre la maggior parte, analogamente a quanto accade negli altri ex-membri del Patto di Varsavia, si trova all’interno di depositi e viene tenuta da parte nel caso servisse per armare i riservisti, quella quota delle forze armate che ha ricevuto un addestramento militare di base e viene richiamata solo in caso di necessità (= ex-soldati di leva). Trattandosi di armamenti di epoca sovietica, questo arsenale è perfettamente compatibile con quello russo e, pertanto, può permettere ai russi di compensare le perdite di mezzi e materiali subite in guerra o la carenza di kit d’equipaggiamento per le nuove reclute, come sembra essere stato confermato dal transito dalla Bielorussia alla Russia di questo tipo di risorse. Dal momento che conosce a fondo quegli armamenti e possiede molti pezzi di ricambio, inoltre, il Paese può riparare il materiale bellico danneggiato, fornendo in questo modo un altro prezioso aiuto a Mosca.
Esiste, infine, la citata integrazione politica ed economica tra i due Paesi, a tutto vantaggio della Russia. Questa integrazione ha proceduto di pari passo con il potere di Lukashenko e, qualora dovesse finire il regime di quest’ultimo, essa sarebbe a rischio di sgretolarsi, favorendo un possibile avvicinamento della Bielorussia all’Occidente. In più, l’aumento delle sanzioni occidentali al Paese che certamente seguirebbe a un suo intervento in guerra lo costringerebbe a chiedere il sostegno economico della Russia, obbligandola a deviare risorse in questa direzione.
Quanto è probabile un intervento bielorusso?
Per quanto detto, appare improbabile un imminente intervento bielorusso nel conflitto. Ma allora, come si spiegano le continue dichiarazioni di Lukashenko in cui sembra prospettare un nuovo intervento congiunto con le forze russe?
Questa strategia comunicativa, unita ad effettive esercitazioni su vasta scala anche in collaborazione con le forze russe, svolge essenzialmente tre funzioni: aumenta il grado di prontezza al combattimento delle forze bielorusse, prepara l’opinione pubblica interna a un eventuale intervento futuro e, soprattutto, costringe una parte delle forze ucraine a presidiare un confine molto distante dall’attuale fronte, con l’effetto di privare gli ucraini di un consistente numero di truppe, mezzi e sistemi d’arma senza bisogno di sparare un colpo.
Certo, per gli ucraini e per la NATO un intervento bielorusso non sarebbe una bella notizia, dal momento che l’esercito ucraino subisce una carenza cronica di mezzi pesanti e artiglieria e in tal caso dovrebbe dividere i suoi sforzi su due fronti. Tuttavia, per Mosca obbligare Lukashenko a un intervento diretto in guerra sarebbe un salto nel buio che al momento non presenta grandi probabilità di successo sul piano militare, come sostenuto, tra gli altri, dall’Institute for the Study of War, un noto think tank americano che si avvale del contributo di professionisti del mondo accademico, diplomatico e militare.
Dunque, al momento la strategia congiunta russa e bielorussa sembra volta a mantenere alta la tensione più che a preparare un’effettiva nuova offensiva, ma il Paese va tenuto d’occhio perché in futuro la situazione potrebbe cambiare, soprattutto se consideriamo che programma di aumentare la sua spesa militare del 50% nel 2023 e svolge esercitazioni militari su vasta scala.
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Last modified: 25 Gennaio 2023