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Dopo le proteste di massa degli ultimi giorni, le autorità di Pechino hanno deciso di allentare la morsa delle restrizioni anti-covid in diverse grandi città come Pechino, Shanghai, Guangzhou, Chongqing e Zhengzhou.
Chiaro segnale di questo cambio di strategia è la decisione di consentire l’isolamento domiciliare per i contagiati da Covid-19 con lievi sintomi. Prima era previsto il ricovero coatto in centri di quarantena appositamente allestiti dal governo.
A Pechino è iniziata la chiusura dei migliaia di chioschi per i test Covid-19 sparsi in tutti gli angoli della città. Si tratta di sportelli che negli anni della pandemia hanno rappresentato il simbolo della politica “ZeroCovid” voluta dal numero uno cinese Xi Jinping.
Le proteste in Cina.
Alla base delle proteste, che si sono diffuse nelle principali città cinesi, c’è l’insofferenza nei confronti di una scarsa gestione dei lockdown a cui la popolazione è frequentemente sottoposta da quando è scoppiata l’epidemia.
Le manifestazioni sono iniziate dopo l’incendio del 25 Novembre a Urumqui, città nella regione occidentale dello Xinjiang che ha subito uno dei lockdown più lunghi di tutta la Cina.
Il giorno dopo, a Shanghai, migliaia di persone si sono radunate nella via che prende il nome del capoluogo dello Xinjiang per protestare contro le misure che il governo ha adottato per arrestare la diffusione del coronavirus. Queste misure, secondo i manifestanti, avrebbero rallentato l’azione dei soccorsi e condannato a morte le 10 persone rimaste vittima dell’incendio.
Non sono le prime proteste che si registrano in Cina da quando sono iniziati i lockdown, ma gli elementi caratterizzanti l’ondata di disobbedienza civile, che da Shangai si è diffusa a Pechino, Whuan, epicentro dell’epidemia, e ad altre grandi città, sono la capillarità delle proteste e le richieste avanzate dai manifestanti.
La gente scesa in strada contro le severe misure della politica “Zero-Covid” ha poi finito per esporre il proprio malcontento nei confronti dello stesso Xi Jinping, fino a chiederne le dimissioni dalla segreteria. Il leader soltanto un mese e mezzo fa era riuscito a raggiungere un importante successo politico.
Al termine del XX congresso del partito comunista cinese tenutosi ad ottobre , Xi ha infatti annunciato di aver ricevuto un inedito terzo mandato alla segreteria del partito. Il leader, che è alla guida del colosso asiatico da 10 anni si trova ora a fronteggiare ciò che nel Paese è molto raro vedere, ovvero manifestazioni di dissenso nei confronti della più alta carica della Cina.
Video ed immagini delle proteste sono stati diffusi sui principali social network cinesi come Wechat e Weibo. Molte immagini hanno fatto il giro del mondo, e ciò che più colpisce è vedere dei manifestanti alzare fogli A4 bianchi, divenuti il simbolo delle proteste. Un segnale chiaro di insofferenza nei confronti della rigida censura in atto nel Paese.
Le autorità cinesi sembrano intenzionate ad affrontare la situazione muovendosi su un doppio binario: garantire un allentamento delle austere misure anti-covid da un lato, stringere le maglie del controllo sulla gente in piazza dall’altro.
Le forze di polizia hanno anticipato i manifestanti, occupando luoghi in cui questi si sono radunati. Sul piano tecnologico, invece, sono aumentati i controlli per impedire i tentativi volti ad aggirare il “Great Firewall”, strumento di censura che fa da filtro alle informazioni in entrata e in uscita, creando di fatto un sorta di internet parallelo.
Intanto, mentre nelle grandi metropoli e in molti capoluoghi della Cina, il governo sembra aver deciso un cambio di passo per quanto riguarda la strategia contro il coronavirus, nello Xinjiang la situazione è alquanto diversa.
Lo Xinjiang, estrema frontiera cinese, è una regione autonoma del gigante asiatico. Nel suo territorio, tra i più grandi della Cina, vivono numerose etnie, tra le quali quella Uiguri. Per questa minoranza islamica, lo scoppio delle proteste non sembra aver determinato un cambio di rotta nell’atteggiamento verso di essa del governo centrale .
Con lo scoppio del covid infatti la sorveglianza elettronica della popolazione, messa in atto principalmente attraverso sofisticate telecamere a riconoscimento facciale, si è ulteriormente rafforzata.
Quali saranno le conseguenze a lungo termine per la popolazione della “marcia indietro forzata” di Pechino sulla strategia Zero covid è tutto da vedere. Bisognerà attendere gli sviluppi futuri per capire se quella parte della popolazione cinese, ancora sottoposta a restrizioni della propria libertà, accetterà la disparità di trattamento.
Ultima Modifica: 25 Gennaio 2023