La corte penale internazionale ha spiccato un mandato di arresto per il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Il motivo dietro la decisione della Corte e le sue possibili conseguenze.
Il mandato di arresto della Corte penale internazionale
Lo scorso 17 marzo, la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, e per la Commissaria della Federazione Russa per i diritti dei bambini Maria Alekseyevna Lvova-Belova. Entrambi sono accusati di aver deportato illegalmente decine di migliaia di bambini dal territorio ucraino dall’inizio del conflitto il 24 febbraio 2022. I mandati di arresto sono stati validati dalla Corte penale internazionale dopo la denuncia dal procuratore Karim Ahmad Khan dello scorso 22 febbraio. Khan aveva peraltro già visitato Bucha ad aprile del 2022 per visionare quanto accaduto a seguito del massacro di 458 civili operato dagli occupanti russi. I documenti relativi ai mandati sono stati secretati per permettere la salvaguardia dell’indagine e dei testimoni.
Il tentativo, forse anche simbolico, è quello di poter intraprendere un processo nei confronti del Presidente Putin. Il mandato di arresto infatti è valido per tutti i 123 paesi che aderiscono alla giurisdizione della corte.
Il ruolo della Corte penale internazionale
La corte penale internazionale è stata istituita il 17 luglio 1998 attraverso lo Statuto di Roma che ne definisce l’organizzazione, le funzioni e i rapporti con le altre organizzazioni internazionali. Lo statuto fu il risultato del compromesso raggiunto tra la maggior parte dei paesi del mondo. Lo statuto prevede che la coorte abbia una funzione complementare rispetto all’azione dei tribunali dei paesi firmatari riguardante i crimini più gravi e inumani, come il genocidio. Attualmente, lo statuo è monco: vi sono delle assenze importanti dato che manca l’adesione dei paesi più importanti e influenti del globo
La Repubblica popolare cinese non firmò lo statuto e non ha mai fatto parte dei sostenitori della Corte. Ancora più emblematico quello fatto da Stati Uniti e Federazione Russa. Il Presidente Bill Clinton aderì a firmare lo Statuto, ma asserì:
“Non inoltrerò, e suggerirò al mio successore lo stesso, il trattato al Senato fino a che le nostre richieste non verranno soddisfatte. Tuttavia, la firma è l’azione giusta da prendere in questo momento”.
Infatti, sebbene l’amministrazione Clinton fosse inizialmente sostenitrice della costituzione della Corte, lo stesso Presidente Statunitense inviò il trattato della conferenza di Roma al Senato a causa di una serie di preoccupazioni, tra cui il timore che il trattato contenesse una protezione insufficiente contro i procedimenti giudiziari politici in cui vi fossero come imputati cittadini americani.
Il suggerimento fu colto dal suo successore George W. Bush. Infatti, John Bolton, importante consigliere di Donald Trump e allora Sottosegretario per gli affari internazionali inviò una lettera nel 2002 all’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, asserendo che gli Stati Uniti non avrebbero più ratificato lo Statuto di Roma. L’avversione degli Stati Uniti al trattato nacque a causa della possibile conflittualità con il proprio impianto legale. In primis, la preoccupazione che cittadini statunitensi possano essere giudicati per crimini commessi in madrepatria, andando così contro quanto previsto dalla Costituzione.
Nel diritto internazionale, la ratifica è l’atto, approvato dai vari Parlamenti nazionali per la maggior parte dei casi, con cui uno Stato decide di far propri gli effetti di un accordo di natura internazionale stipulato dal Governo. Lo Statuto di Roma venne inizialmente firmato da 120 Stati, per poi arrivare agli attuali 139. Lo Statuto entrò quindi in vigore solamente il 1 luglio 2022 dopo la sessantesima ratifica, condizione minima per rendere effettivo il contenuto dello statuto. In sintesi, come affermò Anthony Aust, consulente legale del Regno Unito presso le Nazioni Unite dal 1988-1991.
“Non c’è nulla nel diritto internazionale che obblighi un firmatario di un trattato a diventare parte del trattato stesso e lo stesso Statuto di Roma (all’articolo 125) afferma che è soggetto a ratifica, accettazione o approvazione da parte degli Stati firmatari.”
La Federazione Russa firmò, come gli Stati Uniti, lo statuto senza mai ratificarlo. Il Presidente della Federazione, Vladimir Putin, comunicò di ritirare la firma a seguito della pubblicazione di un report della Corte Penale sui crimini commessi durante l’annessione della Crimea.
Cosa accade ora per Vladimir Putin
Seppure pare lontana la possibilità che Putin venga privato della sua libertà, quanto deciso dalla corte deve essere vista da un punto di vista più politico che legale. Infatti, la decisione della Corte è avvenuta tre giorni prima dell’incontro a Mosca tra il Presidente Putin e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Forse un modo per cercare di peggiorare l’immagine pubblica di Putin nei confronti dell’opinione pubblica cinese.
Inoltre, nonostante il “rischio” di arresto, a seguito della decisione della corte, Putin ha visitato il 19 marzo nottetempo la città Ucraina occupata di Mariupol. Secondo la TASS, agenzia di stampa russa, senza cintura di sicurezza “per poter fuggire nel caso vi fosse bisogno”. Parole dello stesso Putin. Un gesto di sfida alla giurisdizione della corte, visto che l’Ucraina aderisce allo Statuto di Roma e dove il mandato di arresto per Putin ha pieno valore.
Punto a favore della decisione, è l’impossibilità per Putin di poter recarsi in quei paesi dove soggetti alla giurisdizione della Corte Penale.
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Ultima Modifica: 18 Aprile 2023