Breve introduzione
E’ destinata a fare la storia la sentenza del tribunale di Milano del 6 aprile 2023 la quale, ai sensi del l’articolo 36 della Costituzione (che nel primo comma recita: ‘Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’), ha stabilito che percepire un salario di 3,96 euro l’ora, seppur con regolare contratto, è anticostituzionale ed ha obbligato l’azienda a risarcire il soggetto interessato con 6700 euro (pari a 372 euro lordi per ogni mensilità di prestazioni lavorative svolte).
La lavoratrice in questione riusciva, infatti, a portare a casa uno stipendio di soli 640 euro mensili, cifra ben al di sotto degli 840 euro che rappresenta, secondo l’Inps, la soglia di povertà; per questo motivo i giudici hanno condannato la società a riconoscere alla dipendente una cifra pari al 30% in più rispetto all’indennità stabilita dal CCNL ‘Portierato’ applicato per la lavoratrice, la quale aveva chiesto (ed ha, infine, ottenuto) in giudizio la nullità degli articoli 23 e 24 del contratto stesso.
La sentenza del giudice Tullio Perillo ha, inoltre, stabilito l’inadeguatezza rispetto ai principi costituzionali dei contratti collettivi del settore firmati dalla UIL e dalla AISS.
Il lavoro povero in Italia
Come evidenziato dalla relazione del Ministero de Lavoro del 2022, sulla povertà lavorativa sono molti altri i lavoratori che vivono una condizione simile. Il numero di lavoratori poveri si attesta infatti a poco meno di 3 milioni e allo stesso tempo un lavoratore su quattro risulta avere una retribuzione individuale bassa (inferiore al 60% della media). Dalla relazione emerge che, a livello individuale, infatti, il rischio di basse retribuzioni è particolarmente elevato per i lavoratori occupati solo pochi mesi all’anno, quindi per i lavoratori a tempo parziale e per i lavoratori autonomi.
Questo rapporto contiene inoltre 5 proposte per arginare il fenomeno della povertà e del lavoro povero, tra le quali compare l’introduzione di un minimo salariale garantito da realizzarsi o con l’introduzione di un salario minimo legale o con l’estensione dei CCNL a tutti i lavoratori.
Le altre proposte formulate nella relazione sono:
- Rafforzare la vigilanza documentale;
- Introdurre un benefit “in work”;
- Incentivare il rispetto delle norme da parte delle aziende e aumentare la consapevolezza di lavoratori e imprese;
- Promuovere una revisione dell’indicatore UE di povertà lavorativa;
Il rapporto prodotto dal centro studi Livatino
Interessante è anche il rapporto prodotto dal centro studi Livatino (che oltretutto evidenzia come i salari in Italia si siano ridotti del 2,9% negli ultimi 30 anni) secondo cui le condizioni di povertà, nonostante si abbia un impiego, siano dovute principalmente:
- Alla qualità dell’occupazione del singolo lavoratore;
- Alla composizione del nucleo familiare.
Lo studio, coerentemente con quanto emerso dalla relazione ministeriale, prende in considerazione anche le partite IVA (che, specialmente nel caso di società unipersonali, non possono contare su un salario prestabilito) con poco potere contrattuale, che quindi risultano essere penalizzate dall’abolizione delle tariffe personali. Per queste ragioni si ritiene necessario introdurre un equo compenso.
I dati dell’OCSE
Molti addetti ai lavori ritengono inoltre che la situazione stagnante dei salari in Italia sia dovuta anche alla bassa crescita della produttività del lavoro (intesa come la capacità di un’impresa di produrre di più) che, come mostra l’OCSE, l’Organizzazione per lo Sviluppo Economico, in Italia è cresciuta solo dello 0,3% annuo, rendendo il nostro Paese uno dei fanalini di coda in tutto il vecchio continente, dove la crescita media annua è stata pari a 1,5%.
Al netto di tutte le considerazioni questa sentenza è destinata a rappresentare un precedente piuttosto ingombrante.
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Ultima Modifica: 13 Aprile 2023