Il viaggio di inizio dicembre non è un caso isolato: dall’inizio del nuovo millennio la Cina preme sull’acceleratore e cerca nuove partnership strategiche
Il 7 dicembre, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping atterrava in Arabia Saudita per affrontare una fitta maratona di tre giorni di impegni internazionali: al centro, il primo summit multilaterale dei paesi arabi con la Cina e il primo tra Cina e Consiglio di Cooperazione del Golfo, con l’aggiunta della possibilità di incontri bilaterali con Riyad, la quale ha svolto un ruolo di intermediario nel mettere in contatto Pechino con i leader della regione.
Il 9 dicembre, Xi Jinping ripartiva potendo mettere in valigia 34 accordi commerciali siglati con l’Arabia Saudita, oltre che una più ampia collaborazione strategica che include un’accelerazione su due progetti su cui questi due Stati collaborano, vale a dire l’iniziativa cinese delle nuove vie della seta e il progetto saudita Vision 2030. Ciò si colloca in un quadro di avvicinamento complessivo di Riyad alla Cina, in parte dovuto anche al deterioramento dei suoi rapporti con gli Stati Uniti. Questo soppiantare da parte cinese gli USA è evidente dai dati dell’import e dell’export degli ultimi dieci anni, che evidenziano una crescita poderosa dei rapporti commerciali dell’Arabia Saudita con la Repubblica Popolare, accompagnata da un’importante riduzione degli scambi con Washington. È significativo anche che Pechino sia riuscita, sfruttando l’incertezza nelle forniture americane, a firmare accordi per 4 miliardi di dollari in ambito militare.
Non va dimenticato, inoltre, che lo scoppio del conflitto in Ucraina ha contribuito a incrinare i rapporti con gli USA, per via dell’irritazione di questi ultimi prima per la mancata condanna dell’invasione russa da parte dei sauditi – troppo interessati, al pari di altri stati della regione, a mantenere buone relazioni con Mosca –, poi per il rifiuto della loro esplicita richiesta di non aderire come membri dell’OPEC+ alla riduzione della produzione di petrolio voluta dalla Russia. Tale riduzione permette a Mosca di contenere gli effetti del price cap recentemente introdotto dai paesi occidentali sul petrolio russo.
La strategia globale cinese e l’importanza del Medio Oriente e dell’Africa
Il viaggio di Xi Jinping in Medio Oriente va inquadrato in una visione strategica cinese più ampia. Il Paese è, infatti, impegnato da molti decenni nella costruzione di un ordine mondiale multipolare in cui possa fare del suo modello di sviluppo uno strumento di penetrazione economica e politica in diverse regioni e Paesi di grande rilevanza strategica per la Cina.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, l’idea è quella di promuovere una cooperazione economica che proietti un’immagine di rispetto e vantaggio reciproco, coerente con il suo approccio generale alla stabilizzazione delle aree di crisi tramite sviluppo economico e ricerca di soluzioni politiche più che militari, paradigma che Pechino ha applicato anche nella crisi siriana. In questo solco si collocano l’istituzione da parte cinese della figura dell’Inviato Speciale per il Medio Oriente, nel 2004 e di quello per la Siria, nel 2016. Uno dei principali motivi che spingono Pechino verso il Medio Oriente è legato alla vertiginosa crescita che ha caratterizzato la Cina a partire dagli anni ’70: in ragione di ciò, infatti, le sue importazioni di petrolio dal Medio Oriente sono cresciute di dieci volte tra il 1990 e il 2009, arrivando nel 2019-20 a rappresentare il 40% del totale delle importazioni di greggio del Paese (il 16% solo dall’Arabia Saudita). Tuttavia, come osservato in un’ampia analisi su Foreign Affairs da Cook e Green, la classe politica cinese non vuole ripetere gli stessi errori commessi dagli Stati Uniti nella regione. Le avventure militari di questi ultimi in Afghanistan, in Iraq e non solo vengono considerate fallimenti pagati al prezzo di una diminuita influenza statunitense a livello regionale e globale.
In questo contesto, la visita di dicembre di Xi Jinping funge da ulteriore tassello di una cooperazione economica che vede la Cina premere sull’acceleratore fin dall’inizio del nuovo millennio, dalla creazione nel 2004 del China-Arab States Cooperation Forum (CASCF) all’espansione della Shangai Cooperation Organization (SCO), con la progressiva inclusione di paesi mediorientali.
Un altro ruolo chiave nella visione strategica cinese è rivestito dall’Africa, ricca – assieme a tutto il resto – di materie prime di grande importanza per l’industria tecnologica. Ed è proprio la tecnologia una delle armi con cui Pechino si sta facendo sempre più strada nel continente, offrendo soluzioni a prezzi molto vantaggiosi nell’ambito della sicurezza e della sorveglianza (quest’ultimo settore ha visto di recente importanti commesse dalla Nigeria), della telefonia, di internet. Vanno poi aggiunti gli investimenti diretti, i prestiti e la realizzazione di infrastrutture. Il sostegno finanziario e infrastrutturale permette di siglare partnership vantaggiose con i paesi africani e prospettare anche un’utile dipendenza degli stessi dalla Cina: consideriamo in tal senso una situazione come quella del Kenya, che ha visto in neanche 10 anni triplicare il suo debito verso la Cina e raggiungere il 70% del suo debito complessivo nel 2021.
Non si può dunque ritenere un caso il fatto che, con una tradizione iniziata e mai interrotta dal 1991, il primo viaggio ufficiale dei ministri degli esteri cinesi avvenga proprio in Africa.
La lucidità della strategia cinese
Una controprova della lucidità con cui la Cina porta avanti la sua strategia globale si può ricavare dal suo modo peculiare di gestire la propria presenza militare: nonostante una crescita significativa delle sue capacità militari (secondo i dati del SIPRI, il Paese ha aumentato la sua spesa militare dell’800% tra il 1992 e il 2021), il Paese cerca di proiettare all’esterno un’immagine pacifica che possa sostenere l’idea a cui si accennava precedentemente di una cooperazione win-win, una cooperazione che non funga, cioè, da Cavallo di Troia per intromissioni nella politica estera e pressioni militari sul paese destinatario. Per questo motivo evita interventi “fuori area” e limita la sua pressione militare alle proprie zone di confine, coerentemente con il ruolo tradizionale delle sue forze armate come forze di difesa del territorio e persino con ruoli civili, in epoca maoista.
Una freccia all’arco della Cina è, infine, la sua generale astensione da questioni etiche e di tutela dei diritti umani che talvolta rendono difficoltose, fra le altre, le relazioni tra paesi occidentali e arabi. Lo stesso jolly che può giocare la Russia nella regione e con cui, sempre non per caso, il Paese ha avviato progetti di partnership globale riconfermati in occasione dei colloqui tenuti da Putin e Xi Jinping il 30 dicembre: partnership che spazia dalla cooperazione economica, alle forniture energetiche dalla Russia, alla cooperazione in ambito strategico-militare.
Dal successo degli sforzi cinesi dipenderanno, dunque, non solo i rapporti di forza tra l’Occidente e quella che è attualmente la maggiore potenza industriale al mondo, ma anche la sicurezza e la convenienza dell’approvvigionamento energetico e di materie prime fondamentali per il settore tecnologico, nonché per la progettata transizione ecologica.
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Last modified: 25 Gennaio 2023