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Kosovo, nuove tensioni con la Serbia

kosovo e le nuove tensioni

Il Kosovo è uno Stato sorto dalle ceneri della Federazione Jugoslava, la cui dissoluzione è stata caratterizzata da scontri etnici e violenze inaudite. La grande polveriera balcanica non ha risparmiato l’area, teatro di una sanguinosissima guerra che ha visto scontrarsi le forze nazionaliste locali e l’ormai decadente esercito jugoslavo, di fatto composto da truppe serbe e mosso dal volere di Belgrado. Ciclicamente le tensioni tra le due etnie che popolano la regione sfociano in violenze collettive e manifestazioni di piazza, come accaduto di recente. 

Una patria due popoli

Per comprendere a pieno la questione kosovara è doveroso tracciarne un’excursus storico. Le prime attestazione rivelano che l’area fosse abitata sin dal Medioevo da popolazioni, almeno in parte, di etnia albanese. Uno tra gli eventi più importanti dell’epoca, nonché mezzo di propaganda serbo, è la battaglia della Piana dei Merli. Essa vide lo scontro tra le truppe serbe guidate dal principe Lazzaro e l’esercito ottomano condotto dal sultano Murad I.

L’esito fu favorevole ai turchi ed il risultato fu l’assoggettamento del principato all’impero, con la conseguente “deslavizzazione” dell’area. Gli ottomani, nel tentativo di stabilizzare l’area, considerando la popolazione albanese molto più affidabile, ne favorirono l’immigrazione a scapito di quella serba. Tra il 1850 ed il 1870 la regione diverrà dichiaratamente a maggioranza albanese. 

Il 900 sarà un secolo turbolento per la regione, la quale entrerà dapprima nel Regno di Jugoslavia, per poi passare sotto l’egida italiana in Albania ed infine entrare a far parte della Federazione Jugoslava al momento della sua formazione. Inizialmente, l’atteggiamento adottato da Tito nei confronti dell’allora provincia autonoma serba fu stringente. Dati gli scarsi risultati di tale politica, si optò per una maggiore sensibilità verso le istanze kosovare, morbidezza che culminò con la costituzione del 1974, la quale riconobbe a Pristina uno status simile a quello delle altre repubbliche federali. 

Una guerra sanguinosa

Alla morte di Tito la situazione peggiorò esponenzialmente e le prime tensioni si ebbero in concomitanza con le guerre balcaniche di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina; gli anni ottanta furono una lunga miccia preparatoria alla deflagrazione del conflitto. Sotto la guida di Slobodan Milošević, nel 1998, le truppe serbe iniziarono la propria avanzata in Kosovo. A seguito del fallimento dei colloqui di pace di Rambouillet, la NATO decise di intervenire militarmente con una serie di violenti bombardamenti. Dopo due mesi caratterizzati dall’incessante suono delle sirene antiaeree, il 10 giugno 1999 cessarono le incursioni dei bombardieri atlantici e poco dopo entrarono a Pristina i primi contingenti della KFOR (Kosovo Force).

Oggigiorno il Kosovo è una Repubblica parlamentare sotto il Protettorato Internazionale ONU tramite la missione UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo); anche l’Unione Europea è presente nel territorio, con la missione EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo). La strada verso il completamento dell’autonomia politica è lunga ed impervia, come dimostrato dalle cicliche tensioni che infuocano l’area. 

La crisi delle targhe

La questione delle targhe automobilistiche è divenuta oramai centrale nella faida etnica. Nel mese di settembre dello scorso anno, seguendo il principio di “reciprocità”, il governo ha imposto nuove norme per i veicoli che entrano nel Paese dal confine serbo. Esse prevedono la dotazione di un’assicurazione, l’utilizzo di targhe kosovare e il pagamento di una tassa d’ingresso.

Pristina aveva giustificato tale manovra alla luce di un’analoga politica adottata dalla controparte serba da alcuni anni. La disputa era stata risolta tramite l’utilizzo di semplici adesivi, da applicare sulle targhe con dicitura serba. 

La fiamma si è ravvivata il 31 luglio scorso, quando il governo guidato da Albin Kurti ha nuovamente tentato di attuare la tanto vituperata manovra. Tra le strade dei maggiori centri serbi si sono alzate le barricate in segno di protesta e Pristina è stata costretta a fare un passo indietro, rimandando l’applicazione della norma al mese successivo.

L’ultimo preoccupante accadimento legato all’interminabile vicenda balcanica, si è verificato poche settimane fa. Lo scorso 23 novembre è stato raggiunto l’accordo, annunciato tramite un tweet da Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. La sintonia prevede da parte di Belgrado la sospensione dell’emissione di targhe con la dicitura “città del Kosovo” e da parte di Pristina l’interruzione di ulteriori azioni relative alla reimmatricolazione dei veicoli.

Il Monastero Dečani e la questione religiosa

A livello etnico la regione è nettamente divisa tra Nord e Sud, sebbene alcuni nuclei serbi siano rappresentati dai magnifici monasteri ortodossi distribuiti in tutto il Paese. Tali strutture sono presidiate dalla KFOR al fine di preservare il patrimonio culturale che esse rappresentano. Visoki Dečani è uno tra i più importanti monasteri ortodossi al mondo, arricchito al suo interno con incantevoli affreschi risalenti al periodo bizantino (immagini). Il suo perimetro è difeso dalla MSU (Multinational Specialized Unit), un corpo composto prevalentemente da militari italiani impiegato in numerosi teatri bellici: Kosovo, Bosnia Erzegovina, Albania e Iraq.

Le operazioni di difesa delle forze NATO, nei luoghi di culto ortodosso, dimostrano una netta divisione religiosa tra cristiani (serbi) e musulmani (albanesi), anch’essa fonte di discordia tra le due etnie.

Escalation o normalità?

Ciclicamente, nella regione, si ripropongono episodi che inducono lo spettatore esterno a pensare ad un’imminente conflitto. Secondo alcuni analisti, tale concezione è errata, in quanto queste frizioni rispecchino la normalità di un paese diviso tra due popoli.

L’ultimo evento che ha fatto tremare l’opinione pubblica internazionale sono state le dichiarazioni del leader serbo Aleksandar Vučić, il quale ha messo in massima allerta l’esercito affermando: “noi siamo per la pace e il dialogo, ma se si arrivasse ad attacchi fisici e all’uccisione di serbi, e se la KFOR non dovesse intervenire, la Serbia sarà costretta a farlo

Il presidente si è successivamente recato dal Patriarca della Chiesa ortodossa serba Porfiry e la consultazione ha avuto come tematica principale quella di una possibile guerra contro il popolo di Belgrado in Kosovo.

Per il Kosovo il futuro è incerto

Una nazione nata dalle ceneri di un conflitto su base etnica non può che essere caratterizzata da un’instabilità disarmante. Come ovvio che sia, la faida tra la popolazione serba ed albanese è ancora accesissima e sarà compito delle missioni internazionali mantenere la pace nella regione. 

Last modified: 25 Gennaio 2023

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